Quella ‘ragione di governo’ che giustifica qualsiasi orrore e indebolisce la nostra democrazia

Quella ‘ragione di governo’ che giustifica qualsiasi orrore e indebolisce la nostra democrazia

di Filippo Miraglia
 
L’affaire Ablyazov/Shalabayeva è la prova più evidente che il sistema politico italiano e la sua classe dirigente, fatte le dovute, poche, eccezioni, non hanno senso delle istituzioni e della responsabilità pubblica, e costituiscono un rischio per la nostra fragile democrazia. I fatti sono noti a tutti e, per quanto si cerchi di fornire ricostruzioni false e fantasiose, è ormai chiaro che ci troviamo di fronte a un evento di gravità inaudita sia sul piano concreto, della lesione di diritti fondamentali riconosciuti dalla legge e dai trattati internazionali, sia sul piano formale della gestione del caso a tutti i livelli. Fa riflettere, perché connesso alla qualità della nostra democrazia, il fatto che venga richiamata una sorta di ‘ragione di governo’, equiparata a ‘ragione di Stato’, in virtù di una permanente emergenza che giustificherebbe qualsiasi orrore.
L’interesse generale, nelle spiegazioni di chi ha responsabilità pubbliche, coinciderebbe con quello di una maggioranza che, essendo straordinaria, può far ricorso sempre più spesso a misure eccezionali altrimenti ingiustificabili. La libertà delle persone, la loro stessa vita, la possibilità che vengano usate come strumento di ricatto e magari torturate, sembra non rientrare fra le preoccupazioni di una classe politica che per sopravvivere nonostante i propri limiti e la propria debolezza adduce ragioni che stanno al di sopra della legge stessa.
La ‘straordinarietà della situazione’ serve a coprire l’incapacità di dare risposte concrete ai problemi reali e, in casi come quello della signora Shalabayeva e della sua bambina, quasi si trattasse di questioni di nessun interesse, si ricorre a una gestione ordinaria per produrre straordinari misfatti.
In questo momento nel Paese migliaia di persone subiscono le conseguenze nefaste dell’incapacità dello Stato, che è poi l’incapacità di una classe dirigente e di gran parte delle forze politiche, di trovare soluzioni interpretando correttamente il ruolo che la Costituzione e le leggi attribuiscono ai poteri dello Stato. Lampedusa costretta a gestire la rivolta di profughi che non vogliono restare in Italia perché sanno che finiranno quasi certamente per strada e preferiscono chiedere asilo ad un Paese più civile del nostro. Un sindaco, Giusi Nicolini, che si assume con coraggio e in solitudine la responsabilità di pensare all’interesse generale. La Sicilia che non può e non riesce a rispondere all’accoglienza di alcune migliaia di persone - poche se si guarda ai numeri degli altri Paesi europei e alle altre regioni del mondo - perché piena di strutture inadeguate e costose.
Un sistema d’accoglienza e una legge sull’asilo che fa acqua da tante parti e produce, tra le altre cose, le ingiustizie conseguenze dell’arbitrio. La signora Shalabayeva è stata espulsa, con la figlia di 6 anni, pur essendo moglie di un noto dissidente riconosciuto come rifugiato in Inghilterra. Ciò in palese violazione delle direttive europee. Inoltre è stato violato il principio di non refoulement - che è legge anche in Italia - riportato all’art. 33 della Convezione di Ginevra, che vieta di rimandare nel Paese d’origine persone che siano a rischio di torture o trattamenti disumani e degradanti. Questo anche in assenza di una domanda d’asilo da parte della persona interessata. La responsabilità delle conseguenze di una espulsione vietata dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra è dello Stato che la attua, non si può attribuire alla persona espulsa.
C’è poi il colpevole affidamento della moglie e della figlia del dissidente Ablyazov alle autorità kazake che le hanno imbarcate su un volo privato: ogni operazione di allontanamento coatto dal nostro territorio a seguito di un’espulsione deve essere realizzata dall’Italia e non può essere affidata ad altri Paesi, poiché la responsabilità giuridica, oltre che politica, ricade sulle autorità italiane. In proposito è anche utile ricordare che la nostra Corte Costituzionale ha ribadito più volte che l’espulsione di una persona è un atto di limitazione della libertà personale e che quindi rientra in quella che i giuristi chiamano la ‘riserva costituzionale’ prevista dall’art.13, che impedisce che la libertà di chiunque sia limitata senza l’intervento del giudice.
in conclusione si tratta di una brutta pagina per la nostra democrazia, che mostra di essere particolarmente fragile proprio in un ambito sensibile come quello della libertà delle persone (e non solo dei potenti).
Un caso che ci indica, in una fase nella quale in nome dell’emergenza e della crisi vengono violati diversi principi democratici, anche la necessità di introdurre norme di garanzia adeguate nella gestione delle frontiere e dei provvedimenti di espulsione, con una presenza qualificata e stabile di organizzazioni indipendenti che potrebbero rappresentare l’unica vera garanzia per chi - e si tratta di decine di migliaia di persone -non ha alcuna possibilità di accedere a una difesa e ad informazioni adeguate.
 
ArciReport n.29, 23/07/13